Martedì 25 Giugno 2013

Test Match - Italia? Indietro tutta!

Nel terribile tour di giugno nella compagine guidata da Brunel si salvano solo la mischia chiusa e qualche debuttante. Il resto è tutto da buttare.

IL CALDO DI GIUGNO - Si sa che i test del mese di giugno rappresentano da sempre un impegno difficilissimo per le nazionali europee: i giocatori giungono all’impegno stremati da un anno di fatiche spesso con la testa già rivolta alle agognate vacanze. Sono distratti e stanchi, si trovano dall’altra parte del mondo e con le motivazioni che mancano del tutto o quasi risulta davvero difficile per gli staff compattare sufficientemente un gruppo chiamato al duro compito che deve affrontare.
È tutta un’altra storia infatti per le squadre dell’emisfero australe i cui giocatori sono al meglio, nel pieno della loro stagione di club che è meno impegnativa di quella in Europa, chiamati al primo impegno stagionale con la loro nazionale e che giocano in casa loro, davanti al loro caloroso pubblico e per farlo non hanno dovuto attraversare il mondo con tutte le complicazioni che questo comporta.
Le premesse di questi tour insomma non sono mai delle migliori, soprattutto per gli atleti latini, così legati nella prestazione alle motivazioni e generalmente più pigri e discontinui degli anglosassoni; ma quel che i nostri azzurri ci hanno fatto vedere nei tre test match appena conclusi è davvero molto al di sotto di quello che possono fare, soprattutto da un punto di vista mentale, di attitudine generale al rugby.

TEST PER TEST - L’unico spezzone di partita che, armati di bontà, si può salvare di tutta la spedizione azzurra è quello del secondo tempo contro gli Springboks, quando gli azzurri sono riusciti, ormai comunque già ampiamente sotto nel punteggio, a giocare con un po’ di ritmo un rugby propositivo che però non gli appartiene del tutto, assumendo per la verità quell’atteggiamento tattico vagamente sfrontato tipico di chi ha sostanzialmente abbandonato la partita, in ciò favoriti anche dai sudafricani che non hanno infierito sulla carcassa.
Con Samoa invece c’è stato il tracollo: siamo stati di una mollezza fisica e mentale clamorosa! Ma quel che peggio è stato è il suicidio tattico che siamo riusciti a inscenare. Pur primeggiando in mischia chiusa senza appello per gli isolani e in touche siamo stati disastrosi nel breakdown; e pur essendo almeno sulla carta più bravi nella gestione della partita siamo riusciti a aprire il gioco sempre, incondizionatamente, con un ritmo di una monotonia snervante, senza mai accelerare o rallentare e cercare la verticale ma guidando così loro, che difendevano con pazienza forti della loro supremazia fisica, al momento migliore per sfoderare i loro letali contrattacchi, che regolarmente prendevano vita da limpidi turn over con i nostri sostegni del tutto assenti nei raggruppamenti. Abbiamo perso 10 a 39, un record. In generale sul test con la Scozia c’è poco da dire poi, almeno a noi infatti non è sembrata una vera partita di rugby ma più un allenamento, basti pensare che tra le due squadre è stato portato solo un placcaggio in avanzamento in tutta la gara (per la cronaca da parte del nostro Sgarbi).

PARISSE - Invece chi è mancato completamente e lo diciamo con tutto il rispetto e l’ammirazione possibile è il nostro capitano Sergio Parisse, autore di una partita sconfortante con gli Highlanders e di un tour proprio fuori fuoco. Il terza centro della Stade Francais contro la Scozia non è stato pessimo solo da un punto di vista tecnico, vedi l’errore difensivo grossolano sulla meta del sorpasso di Strokosch a tempo scaduto e un calcio di punizione giocato veloce completamente fuori ritmo con conseguente palla buttata in touche nel primo tempo, solo per citare i due episodi più evidenti; ma ci è mancato soprattutto nel guidare col giusto atteggiamento i nostri giocatori, sia in questa partita che nelle altre direi.
Ciò che fa più male però è vederlo cadere in atteggiamenti di sufficienza e superbia che gli appartenevano solo all’inizio della sua carriera gloriosa: troppi sottomano, troppe giocate personali, dettate più da nervosismo e da frustrazione che da reale voglia di primeggiare sull’avversario. Parisse a volte non solo vuole fare tutto da solo per aiutare i suoi compagni e tirarli fuori dai guai con le sue capacità personali, che comunque sarebbe un errore, ma si ritrova a giocare da solo perché è come se non credesse del tutto nei suoi compagni. Difficilmente infatti nel suo club parigino si ritrova a proporsi nelle stesse giocate che prova con la maglia della nazionale. Quel che forse non riesce ancora a capire è che un giocatore con la sua immensa classe, la sua tecnica e le sue doti morali in campo, delle quali non smetteremo mai di ringraziarlo, è molto più forte ed efficace quando riesce a giocare in armonia profonda con la propria squadra e non al di sopra o al di là di essa. 

Pietro Lagorio, 4rugby.it